Di solito si apre una mappa per conoscere un territorio e capire la collocazione di paesi, fiumi, montagne. La grande carta del territorio veronese detta «dell’Almagià» (dal nome del geografo Roberto Almagià che per primo la studiò, nel 1923), si guarda invece per ammirarla, perché è più che un semplice riferimento topografico e rappresenta uno dei più importanti monumenti cartografici del Quattrocento italiano. Tanto importante da meritarsi una pubblicazione che vede la luce curata da Stefano Lodi e Gian Maria Varanini (Verona e il suo territorio nel Quattrocento, Studi sulla carta dell’Almagià, Cierre Edizioni, 296 pagine, 24 euro), con due grandi poster allegati, di cui uno in quadricromia, che riproducono la carta in scala 1:4 (520×687 mm) e in 1:1,4 per il particolare della città di Verona.
All’opera hanno contribuito una decina di studiosi, i cui lavori sono introdotti da Marica Milanesi dell’università di Pavia. Oltre ai citati Lodi e Varanini (che hanno curato anche gli indici e le corrispondenze moderne dei toponimi), hanno collaborato Giuliana Mazzi, Carlo Andrea Postinger per i riferimenti al Trentino e Isabella Lazzarini per il Mantovano; Sandra Vantini, Susy Marcon, Nello Bertoletti, Gianluca Poldi e Giovanni Caniato, analizzando contesto, contenuti, forma, supporto della carta. «Abbiamo un’idea più precisa sulla datazione, sul luogo in cui è stata realizzata, sul modo in cui è stata costruita», scrive Milanesi, «ciò non significa tuttavia che tutti gli interrogativi che la carta pone siano chiariti e nemmeno che le conclusioni cui gli autori giungono siano tutte concordanti».
I dati certi sono che la carta raffigura Verona e il suo territorio con le zone immediatamente circostanti: il lago di Garda, il Trentino meridionale, Mantova. Fu voluta dal governo veneziano e gli studiosi concordano di posticipare di qualche decennio la prima datazione proposta dall’Almagià, indicando come più probabili gli anni dopo il 1460. Essendovi raffigurata la flottiglia di sei galee trasferite dai veneziani dall’Adige al Garda in due riprese, fra il 1438 e il 1440, in soccorso a Brescia nella guerra contro Filippo Maria Visconti, la carta è sicuramente posteriore e l’indicazione più certa è per gli studiosi dopo il 1460, quando un decreto dei Dieci ordinò nuove carte dei dominii di Terraferma. Secondo Mazzi la carta del Veronese, che è realizzata su pergamena e ha una superficie di quasi 7 metri quadrati (222 centimetri di base per 300 circa di altezza), sarebbe l’unica realizzata fra quelle chieste dai Dieci. Lodi propone una datazione fra il 1463 e il 1467.
Sugli obiettivi della carta gli studiosi non sono concordi. Mappa militare? «Certo ha una straordinaria potenza rappresentativa e grande ricchezza di dettaglio», ammette Milanesi, «mostra montagne, colline, paludi e fiumi, strade e ogni genere di insediamenti e manufatti umani, ma molti dettagli necessari per un uso militare, e particolarmente molti castelli, sono assenti». Pare sia il risultato dell’assemblaggio di più carte e mappe locali, riprodotte con scale diverse, e forse serviva anche a esibire la potenza dello Stato: sono ancora visibili i fori e i segni lasciati dalle stecche che servivano probabilmente per tenerla appesa a una parete, forse nel Palazzo dogale, nei luoghi aperti agli ospiti.
Della mappa colpisce la raffigurazione delle montagne prealpine rese con grandi efficacia pittorica, con colori diversi a tratti marcati per sottolineare le pendici scoscese, anche se non sempre si può fare affidamento sulle conoscenze geografiche dell’autore, che colloca i Monti dela Giaza al di là dello spartiacque trentino e Selva de Progno sulla linea di confine orografico. Tutta la Lessinia Occidentale è compressa e sacrificata; Podestaria è su un cocuzzolo, mentre in realtà è in una conca, e la Selva de Progno è una foresta disabitata sebbene i boscaioli cimbri in quegli anni fossero presenti già da quasi due secoli.
Per la città invece, secondo Lodi, la carta dell’Almagià «costituisce la più precoce e completa raccolta grafica di informazioni, per le fortificazioni, gli assi stradali, il percorso delle acque, gli edifici principali, illustrati con diligenza destinata a restare senza confronti anche per gli anni a venire».
«È il primo documento cartografico veronese dove si tenta di far coesistere compiutamente una rappresentazione planimetrica con episodi fatti di vedute a volo d’uccello e raffigurazioni stereometriche dell’edificato, unica rappresentazione rinascimentale che presenti la città e il suo territorio circostante, nonché l’edificato che nel tempo era sorto fuori delle mura di Verona», osserva Lodi.
Interessante anche il fatto che, se davvero questa è l’unica carta che il decreto dei Dieci abbia ottenuto, sia anche l’unica a essersi salvata fino ai giorni nostri nonostante il viaggio a Vienna, forse nel 1798 o negli anni del dominio austroungarico, di cui conserva sul verso quattro timbri ancora ben visibili. Ritornò a Venezia come restituzione alla fine della Grande guerra come clausola del trattato di pace. È stata restaurata nel 1997 ed è conservata all’Archivio di Stato di Venezia, disponibile in formato digitale ad altissima risoluzione.